Ogni anno, in tutto il mondo, il 27 gennaio si celebra la Giornata della Memoria, nella cui ricorrenza vengono ricordate le oltre 15 milioni di vittime causate dall’Olocausto

Circa sei milioni fra queste, appartenevano al popolo ebraico. Il loro genocidio è chiamato Shoah.

Letteratura, cinema, arte, hanno speso fiumi di parole, pagine e svariate forme di linguaggi per raccontare ma soprattutto per far comprendere la crudeltà e la follia di quella lunga quanto triste pagina di Storia, nella speranza che una tragedia tale non si ripeta.

Questa giornata è fondamentale non solo per commemorare le vite innocenti spezzate da questo genocidio, ma anche e soprattutto per continuare l’opera di sensibilizzazione sulle tante piccole e diffuse forme di discriminazione sociale: siano esse di carattere etnico, sessuale o religioso

Le testimonianze in Penisola

La Penisola Sorrentina fu risparmiata dalla mannaia delle leggi razziali e dell’Olocausto.

Ci sono però due episodi che ci raccontano le diverse risonanze che questi avvenimenti  hanno portato nelle nostre terre. 

Due facce di una stessa medaglia le quali ci dimostrano che se da un lato la cieca adesione ad un credo politico possa “generare mostri”, dall’altro la incrollabile fede verso i propri valori etici e professionali possono essere motivo di “salvezza” sia morale che di vite umane.

La Colonna ritrovata in mare nel 1984

Le colonne dell'Abbazia di Crapolla

Il primo episodio che vogliamo raccontarvi, tratto da il blog “Ti racconto Sorrento” di Giuseppe Maresca, ci proietta a Massa Lubrense, in piena Seconda Guerra mondiale.

Un gruppo di militanti fascisti, un po’ per “sfida” e in parte per superare la noia non trovò di meglio da fare che scolpire sulle poche colonne rimaste dell’Abbazia di Crapolla i simboli cari al loro Duce. 

E di quest’azione se ne vantarono per tutta Massa. 

Tuttavia con la caduta del regime e di Mussolini, volendo cancellare ogni traccia di quel triste passato, le colonne “fasciste” vennero gettate in mare.

Quando si credeva che se ne fossero perse definitivamente le tracce, una di queste nel 1984 venne rinvenuta dai pescatori della Marina del Cantone e oggi, a testimonianza di quell’episodio, la colonna è esposta vicino all’ingresso del Ristorante “Pappone”

La storia del salvataggio di 516 Ebrei

L’altro episodio, tratto dal terzo volume “I Racconti del Lunedì” scritto dal Prof. Ciro Ferrigno, ci restituisce la memoria di un uomo di Piano di Sorrento coraggioso, altruista e profondamente devoto alla sua vocazione di navigante. 

E’ la storia del carottese Antonino d’Esposito, Tenente di Vascello di Complemento al servizio della Regia Marina.

Nel 1940, la notte tra il il 18 e il 19 ottobre, le autorità della Regia Marina furono informate del naufragio sull’isolotto sperduto di Camiloni nel Mare Egeo di una vecchia nave partita dal Mar Nero.

L’imbarcazione, che poteva trasportare un massimo di 80 persone, aveva a bordo 516 Ebrei, in fuga dalle leggi razziali.

Su ordine del Gov. Delle Isole Italiane dell’Egeo, Antonino d’Esposito non esitò minimamente  e partì per soccorrere quel folto gruppo di naufraghi, non risparmiandosi in qualsiasi forma di aiuto.

La figlia racconta con orgoglio che per Antonino, quello non fu “un ordine militare” ma un dovere morale, una sorta di “chiamata” da parte di Dio a portare sollievo a tutte quelle persone ormai prive di una casa, di un’identità e di calore umano.

Il Giornale Il Centro parla dell'episodo con la foto di Antonino d'Esposito

Di questo episodio ci sono diverse testimonianze come il telegramma di ringraziamento inviato da uno dei superstiti.

Anche i giornali dell’epoca parlarono di questo salvataggio. In particolar modo Il Messaggero, nonostante la poca libertà di stampa di allora, scriveva alcune righe ancora oggi attuali:

“Dovunque si trovino, quando sentiranno parlare male dell’Italia, non vogliamo che essi ne parlino bene, nemmeno per riconoscenza.

Ma prima di parlar male anch’essi e prima ancora di aderire, a quello che dicono i denigratori si ricordino che qui furono restituiti alla vita.”